"Nulla di poetico hanno gli aeroporti di Fiumicino e Ciampino, luoghi di smistamento masse, di carico e scarico di merce umana [...] Bisogna andare altrove per sentire l'emozione della terra che s'alza verso l'azzurro scricchiolando e tirandosi dietro speranze e paure. Il minuscolo aeroporto dell'Urbe sta sulla Salaria, poco prima del caos della città. Gli edifici all'ingresso sono incredibilmente scrostati e tra gli hangar malmessi girano cani randagi e gatti rognosi. Oltre la rete di metallo stanno parcheggiati gli aeroplani, talmente piccoli e buffi da sembrare vecchi giocattoli dimenticati. Eppure quel luogo ha il fascino dei posti di confine, c'invita a dimenticare il peso delle cose - pagando un biglietto si può - e a volare sopra la città. Proprio accanto alla pista di decollo c'è un bar-ristorante con un bel giardino, dove possiamo bere un caffè, ascoltare i racconti dei piloti e aspettare che qualcuno sfidi il cielo. Se si è fortunati si può vedere uno di quei trabiccoli che cigolando parte all'assalto dell'aria: è poco più di una sedia con le ali e un'elica che pare mossa da un elastico. Come farà a partire e a reggere il vento? Quanto coraggio gli serve? Eppure quel passero di metallo cigolando si stacca da terra, s'alza, va: e a noi che restiamo a terra, il cuore batte pieno d'ansia e d'invidia" (Marco Lodoli, Isole. Guida vagabonda di Roma, Torino, Einaudi, 2005, p. 41-42).